Alessandro Baricco

Auditorium Parco della Musica – Sala Santa Cecilia
24 – 26 settembre 2004

Una morale attuale in rapporto alla nauseabonda guerra dell’Iraq (e dell’Afganistan). Dice Alessandro Baricco: “Quel che suggerisce l’Iliade è che nessun pacifismo, oggi, deve dimenticare, o negare l’esistenza del rito della guerra. Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta è una dannosa menzogna”…. (2004) IL VIDEO DI UNA SUA INTERVISTA DI PRESENTAZIONE DEL TESTO DEL LAVORO

ILIADE, UN MONUMENTO ALLA GUERRA MA ANCHE UN INNO ALLA PACE
di Alessandro Baricco

Non sono, questi, anni qualunque per leggere l’Iliade. O per “riscriverla”, come mi è accaduto di fare. Sono anni di guerra. E per quanto “guerra” continui a sembrarmi un termine sbagliato per definire cosa sta accadendo nel mondo (un termine di comodo, direi), certo sono anni in cui una certa orgogliosa barbarie, per millenni collegata all’esperienza della guerra, è ridivenuta esperienza quotidiana. Battaglie, assassinii, violenze, torture, decapitazioni, tradimenti. Eroismi, armi, piani strategici, volontari, ultimatum, proclami. Da qualche profondità che credevamo più sigillata, è tornato a galla tutto l’atroce e luminoso armamentario che è stato per tempo immemorabile il corredo di un’umanità combattente.

Progetto musicale Giovanni Sollima
Disegno Gianluigi Toccafondo
Disegno luci Guido Levi
Regia video Paolo Gazzara
Direttore tecnico Luigi Grenna
Suono Alessandro Borgioni
Ideazione costumi Marina Schindler
Con Alessandro Baricco e (in alternanza nei tre reading) Stefano Benni, Caterina Deregibus, Michele Di Mauro, Mariella Fabbris, Pierfrancesco Favino, Carolina Felline, Simone Gandolfo, Elio Germano, Edoardo Nesi, Fabrizia Sacchi, Sandro Veronesi.
Canto Rosie Wiederkehr

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Coordinatore del progetto Fabrizio Grifasi
Assistente di produzione Francesca Manica
Direttore di palcoscenico Daniele Iraci
Datore luci Danilo Facco
Fonico Stefano Barbagallo
Sarti Santo Costanzo, Elena Pennello, Teresa Tamara Ventrice
Assistenti Corinna Bottiglieri, Marinella Contenti, Rebecca Raponi
Produzione Romaeuropa Festival 2004

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QUEL CHE STATE PER ASCOLTARE
di Alessandro Baricco

Poche righe per spiegare come è stato costruito il testo che stiamo per leggere. Il punto di partenza è la traduzione che, dell’Iliade, ha fatto Maria Grazia Ciani (la potete trovare in libreria, pubblicata da Marsilio). È una traduzione in prosa e mi è sembrata più moderna di altre, o forse solo più vicina al mio sentire. Comunque: l’ho scelta, e ci ho lavorato su per ottenere un testo che potesse essere letto in pubblico in un tempo ragionevole e con qualche possibilità di non esasperare la pazienza degli ascoltatori. Così ho fatto una piccola serie di interventi.

Per prima cosa ho fatto dei tagli per ricondurre la lettura a una durata ragionevole (adesso ce la dovremmo cavare in sette, otto ore di lettura: ammesso che questo sia ragionevole). Non ho tagliato, quasi mai, delle scene intere, ma mi sono limitato, per quanto è possibile, a togliere le ripetizioni, che nell’Iliade sono numerose, e ad asciugare un po’ il testo. Ho cercato di non riassumere mai e di non inventare delle frasi: e di creare piuttosto delle sequenze più stringate usando sezioni originali del testo. Per cui i mattoni sono quelli omerici, ma il muro risulta più essenziale. Non ci sono tutte le parole di Omero, ma tutte le parole che ci sono vengono, in linea di massima, da Omero.

Ho detto che non ho quasi mai tagliato scene intere: questa è la regola, ma devo citare l’eccezione più evidente: ho tagliato tutte le apparizioni degli dei. Non è questo il luogo in cui discutere più di tanto una scelta del genere. Vorrei giusto annotare che togliere gli dei dall’Iliade non è probabilmente un buon sistema per comprendere la civiltà omerica: ma mi sembra un ottimo sistema per recuperare quella storia riportandola nell’orbita delle narrazioni a noi contemporanee. Come diceva Lukács, il romanzo è l’epopea del mondo disertato dagli dei.

Il secondo intervento che ho fatto è sullo stile. Già la traduzione della Ciani usa un italiano vivo, più che un gergo da filologi. Ho cercato di proseguire in quella direzione. Da un punto di vista lessicale ho cercato di eliminare tutte gli spigoli arcaici che allontanano dal cuore delle cose. E poi ho cercato un ritmo: la coerenza di un passo, il respiro di una particolare velocità e di una speciale lentezza. L’ho fatto perché credo che ricevere un testo, che viene da così lontano, significa sopra ogni cosa cantarlo con la musica che è nostra.

Il terzo intervento è più evidente, anche se poi non così importante come sembra. Ho girato la narrazione in soggettiva. Ho scelto alcuni personaggi dell’Iliade e gli ho fatto raccontare le storia, sostituendoli al narratore esterno, omerico. Per lo più è una faccenda puramente tecnica: invece che dire “il padre prese la figlia tra le braccia”, nel mio testo c’è la figlia che dice “mio padre mi prese tra le braccia”. È una cosa che può aiutare chi legge a non smarrirsi e chi ascolta a non addormentarsi.

Quarto intervento: naturalmente non ho resistito alla tentazione e ho fatto alcune, poche, aggiunte al testo. Non c’è modo, nella lettura pubblica, di farvi capire quali sono: le trovate nel libro, se volete, stampate in corsivo: sono come restauri dichiarati, in acciaio e vetro, su una facciata gotica. Quantitativamente, sono interventi che coprono una percentuale minima del testo. Per lo più riportano in superficie sfumature che l’Iliade non poteva pronuciare ad alta voce ma nascondeva tra le righe. A volte riprendono tessere di quella storia tramandate da altre narrazioni posteriori (Apollodoro, Euripide, Filostrato). Il caso più evidente, ma in certo modo anomalo, è l’ultimo monologo, quello di Demòdoco. Come si sa l’Iliade finisce con la morte di Ettore e con la restituzione del suo corpo a Priamo: non c’è traccia del cavallo e della caduta di Troia. Pensando alla lettura pubblica, però, mi sembrava perfido non raccontare come quella guerra fosse poi, finalmente, finita. Così ho preso una situazione che viene dall’Odissea (libro VIII: alla corte dei Feaci un vecchio aedo, Demòdoco, canta la caduta di Troia davanti a Ulisse) e le ho versato dentro, per così dire, la traduzione di alcuni passi de La presa di Ilio di Trifiodoro: un libro, non privo di una sua eleganza post-omerica, che risale forse al quarto secolo dopo Cristo.
di Alessandro Baricco

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